Gigi Proietti rappresenta un’Italia che non c’è più. Quell’Italia che conobbi da bambino, a Roma, in quella grande capitale che sapeva ridere di se stessa e sorrideva al futuro. Un’Italia illuminata dalla luce della positività, che si specchiava sui suoi denti sorridenti che non hanno smesso di brillare. Nonostante tutto.
Basta guardarsi la “mandrakata” per capire quanto le cose negli anni siano cambiate, nel bene o nel male.
Gigi Proietti me lo ricordo davanti agli occhi come fosse ieri. Veniva spesso a Ravenna quando ero ragazzino e mi trovai a vederlo a teatro tante volte.
A me gli occhi please: che ridere…
Aveva l’autorevolezza di una risata che sgorga dal profondo della pancia. Più imperativa del comando di un dittatore.
Quando nel 2015 vinse il premio Guidarello (io lo vinsi nel 2012) fui davvero felice di poter condividere un piccolo lauro sulla testa con un grande come lui.
Forse per la generazione che rappresentava era ancora libero dai sapori cupi e dal pessimismo che pervade l’Italia da qualche anno a questa parte. Era capace di ridere di tutto, con quel suo sorriso sornione abbracciava ogni tema e anche molti tabù.
Proprio come erano capaci di fare quegli italiani che avendo conosciuto le memorie della guerra e la rinascita del dopoguerra sapevano che esiste il meglio.
Personalmente non posso dimenticare la sua capacità di esibirsi nel grammelot, abilità che lo avvicinava al premio Nobel Dario Fo.
Nello scorrere spietato della vita il suo nome finirà insieme a quello degli altri grandi attori del “900.
Ma con lui se ne va il volto rassicurante di un pezzo di storia d’Italia che non aveva paura di regalare al mondo una costellazione di sorrisi.
Oggi di sicuro siamo diventati più seri e ci prendiamo molto più sul serio. E ora che non c’è più Gigi Proietti rideremo di meno.
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