Premio Loris Malaguzzi: una prova del fatto che qualche concorso di poesia serio esiste ancora in Italia.
Il racconto
Non conoscevo nessuno della giuria (anzi, a dire il vero neanche sapevo chi fossero i giurati) e non avevo idea di chi fosse l’organizzazione.
E confesso la mia ignoranza: sapevo a malapena chi fosse stato Loris Malaguzzi e molto poco del Reggio Emilia Approach.
L’iscrizione era gratuita e mi sono buttato. Senza troppe speranze. Anche considerando lo stato della cultura in Italia.
Dopo qualche settimana mi arriva una email che mi comunica che ero stato scelto dalla giuria nella terna dei vincitori.
‘Mal che vada sarò arrivato terzo’ penso io.
Di ritorno dal ritiro letterario all’isola d’Elba arrivo a Reggio Emilia e di qui un caro amico mi prende in macchina e andiamo insieme a Sologno, il paese in cui si teneva la premiazione.
Non sapevo che a circa un’ora di macchina da Reggio Emilia ci fossero colline e montagne così maestose.
Inizia la cerimonia, scandita dalla musica di fisarmonica del bravissimo maestro Lorenzo Munari. Viene premiata prima la sezione ragazzi, poi quella dei racconti (vincitrice è Maria Gabriella Incisa di Camerana).
Si arriva alla sezione poesia. Chiamano la terza classificata. E non sono io.
‘Sarò arrivato secondo’ penso.
Quando chiamano un altro nome per il secondo posto io capisco di aver vinto.
Mi annunciano, leggono le motivazioni. E un attore legge, accompagnato dalla fisarmonica, il mio testo.
E io mi sono commosso.
La poesia con cui ho vinto il primo premio Loris Malaguzzi
L’AIA DELL’ANTONIA E DI PASQUALINO
Sotto il cappello di paglia
memorie antiche come i fauni.
Imprecazioni eruttano sorridendo
in un dialetto che sa di zolle:
‘Boia te e i tu quatrén!’.
L’ippocastano nell’aia lo piantò il bisnonno
fa da tetto alla nostra scuola.
‘Pasqualino mi porti ai meli?’.
Un trattore culla un bambino ancora ignaro
e un vecchio contadino ormai al traguardo.
Guardi orgoglioso i meli del nonno, ‘padron Mino’:
sono suoi ma sono tuoi.
‘Ma l’Antonia è la tua moglie?’.
I due vedovi si guardano:
malinconia e rassegnazione si salutano composte.
‘Già un marito mi è bastato’.
Formiche nascondono i segreti sotto l’erba.
‘Dov’è Robertone?’.
Rannicchiato sotto a un carro
cerca in una lacrima il perché
delle botte sul suo handicap silente.
Il fuoco dentro alla zucca sorride tetro
in una notte che sa di streghe
dietro alla gonna della mamma.
‘Dove stavi quando eri piccola?’.
Infanzie di zappe e cinghie,
pugni e albe collinari.
Io non c’ero.
Sento tutto.
‘Lilla, Lilla!’, mi scondinzola amorosa.
Non fa passare i cacciatori la cagnetta.
Occhi sporchi di ingiustizia
la vedono a terra avvelenata.
Il bosco di pioppi, tigli e un salice l’ho piantato io
con le mani dell’Antonia e il sudore di Pasqualino.
Perso nel gusto del pane contadino
vivo in un tempo senza tempo.
‘Quando sarai vecchia te lo darò indietro’.
Ma il pane non gliel’ho mai restituito.
Siete morti, siete vivi:
dipende dagli occhi.
I miei sono bagnati
ma continuano a vedervi
in quell’aia dell’infanzia
dove sono diventato io.
Poi su instagram mi è piovuto in cuore l’affetto di centinaia, migliaia di persone…
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