Al funerale di Enrico Liverani eravamo tutti uguali. Anche i più diversi.
Sono appena tornato dal tuo funerale, Enrico. Lo hai visto, c’era tutta la città a salutarti. Anzi, c’era mezza Romagna. Tante donne e tanti uomini che provavano a darsi un ordine umano, con istituzioni, ruoli, divise. C’era la sinistra e l’opposizione, i politici e i cittadini, i potenti e quelli come me. Ma davanti alla morte siamo tutti terribilmente uguali. Ci hai resi tutti uguali, proprio come tu avresti voluto che fossimo. Sei riuscito a rendere uguali il ministro Boschi e il ministro Poletti (bell’impresa) e loro due uguali all’ultima persona nell’angolo, cioè me. Eravamo tutti silenziosamente uguali, uniti come solo di fronte alla morte si può essere.
Tutti uniti in un grande “non c’è niente da dire”. E invece da dire c’è molto. Ha parlato per tutti noi Fabrizio. Mica per niente è il primo fra i cittadini. Anzi, abbiamo parlato noi attraverso le sue corde vocali, che hanno fatto vibrare il dolore e l’amore che erano mischiati in quella piazza del Popolo gremita. Hai sentito, avrai una biblioteca. Non lo sapevo, potremo ritrovarci lì a parlare delle cose che contano. Quella tua frase “starò sempre dalla parte di chi ha un diritto in meno” è risuonata anche al tuo funerale. È molto bella, efficace, degna di un grande politico. Peccato che nella sua carica politica ora ci lasci nel mezzo del turbinio di un terribile controsenso. Il controsenso di desiderare il diritto di poterti avere ancora tra noi, senza che nessuno possa garantircelo.
Ho incontrato Alberto, la Mara, Vasco e tanti altri pezzi dell’abbraccio che ti ha stretto. Da lontano ho anche visto Michele, Roberto e Giangi. Stai loro vicino perché ora che hai fatto a tutti noi questa sorpresa sta a loro risolvere la situazione sul piano politico e non li invidio. Non credo sarà facile.
Fabrizio ti ha fatto una promessa e un giuramento. Sono certo che tutti insieme li manterremo. Ciao Enrico. Un saluto e una preghiera.
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