Giornalista.
Non so perché ma questa parola mi sembra ogni giorno più sbagliata. È un ismo che riguarda uno strumento comunicativo, il giornale, che oggi praticamente non esiste più. Già non capisco perché chi dà o commenta notizie in televisione o in radio debba essere chiamato “giornalista”. Che c’entra con il giornale? E perché farsi abbracciare dal suo “ismo”?
Oggi un giornalista nella migliore delle ipotesi si occupa di uffici stampa, consulenze in comunicazione, o ha qualche spazio in televisione o in radio. O soprattutto scrive sul web. Che c’entra più il giornale?
Personalmente vivo di scrittura da molti anni, e quando il mio mestiere di giornalista consisteva essenzialmente nello scrivere su dei giornali questa parola risuonava in modo coerente nella mia mente. Ma si sa, i giornali sono oramai recinti da cui i buoi sono scappati e i lettori dileguati. E noi ancora probabilmente non ce ne siamo accorti del tutto.
Perché comunque continuare a chiamare un’intera categoria di persone che fa tutt’altro “giornalista”? Probabilmente al volgere di una sola generazione nessuno usufruirà più del giornale per informarsi. Continueremo a chiamare chiunque si occupa di comunicazione “giornalista”? I meccanismi delle lingue sono complessi e a volte misteriosi e meno razionali di quanto si potrebbe immaginare.
Ma visto che la lingua è uno strumento vivo lancio il mio sasso: basta usare il termine “giornalista”! Inventiamone uno nuovo, più moderno, più adeguato ai tempi. Già bisognerebbe togliere quel suffisso “ista” che sa tanto di ideologia ottocentesca. Ma se proprio vogliamo tenerla chiamiamoci “comunicazionisti”, o “informatisti”. O magari differenziamoci, diventando “televisionisti”, “radisti” (orrendo), “internettisti”. Magari non sto spremendo nel migliore dei modi le mie meningi creative e lascio ad altri la fase di creazione del neologismo. Mi limito a ribadire il mio appello: basta continuare a riferirci ad uno strumento che di fatto sta per sparire. O rimarremo tutti disoccupati.
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