Chiesa e omosessualità
Questo tema caldo, chiesa e omosessualità (di cui ho già scritto), continua ad infiammare. Ne 2013 ho scritto un libro insieme ad Alessandro Cecchi Paone, dal titolo “Le ragioni dell’altro“. Il tema della chiesa e omosessualità lo avevo affrontato così, e lo ripropongo a stralci:
Sull’omosessualità in molti ambienti clericali regna l’ipocrisia. Ma non c’è quella che chiamate “omofobia”.
Carissimo Alessandro,
introduci il tema dell’omosessualità, e forse ti sorprenderò. (…) Parlo a mio personalissimo nome, prendendomi la responsabilità di ciò che scrivo, non senza aver pregato prima di scrivere ciò che leggerai. Ti devo confessare che sono stanco. Stanco di una ipocrisia tutta interna alla Chiesa, di cui in coscienza non riesco ad essere complice. Sì, è vero, l’omosessualità in molti ambiti cattolici è un tabù. Questo di per sé non mi scandalizzerebbe, se al di sotto di questo tabù non ci fosse una pratica omosessuale diffusa, e spesso tollerata dalle gerarchie, di numerosi membri del clero. Spesso con propri figli spirituali. Io stesso, da osservatore, potrei essere testimone di decine di casi protratti nel tempo. Anche di esponenti di un certo rilievo di organismi romani. E non faccio nomi non per paura, che non ho, ma solo perché continuo a credere che finché una persona non rende pubblica una parte intima di sé, quella debba restare privata. Da un lato dunque si innalza il principio di omosessualità come disordine, e nello stesso tempo si alza una barriera concreta fra chi si trova a vivere questa condizione e l’universo cristiano, ma dall’altro si lascia che una fetta consistente del clero viva liberamente pratiche omoerotiche. Delle due l’una: o il principio è valido per tutti, o se è tollerata la violazione del principio da parte dei pastori, si deve rivedere qualcosa. Sono purtroppo nella condizione di “dover” precisare che scrivo questo non avendo mai avuto nessun tipo di tentazione omosessuale o omoerotica. Ho scritto “dover”, perché solo dopo avere conosciuto te e dopo che in qualche modo il mio nome è stato associato al tuo mi sono reso conto che esiste una omofobia diffusa in questo Paese, che subito punterebbe il dito additandomi come omosessuale. Da quando abbiamo fatto incontri pubblici insieme, e da quando è circolata notizia dell’uscita di questo libro, non sai quante persone mi hanno più o meno scherzosamente ammonito: “stai attento!”, o “hai cambiato parrocchia?”. La cosa mi ha dato molto fastidio, mi è apparsa come sintomo di una stupidità e di una insicurezza di fondo che non mi aspettavo. Non te lo avevo mai detto, e te lo confesso qui. Però ti confesso anche che questi ammonimenti sono arrivati da gente comune, anche istruita, di varia identità ed ideologia, ma non sono arrivati da fratelli nella fede, di certo mai da sacerdoti. Non ho trovato, nel sperimentare per la prima volta il tema, omofobia negli ambienti cattolici che conosco. Cioè, credo che, al di là della facciata, vi sia nella Chiesa una attenzione ed una comprensione profonda da parte di molti esponenti ecclesiastici per le dinamiche che può vivere una persona che scopra e scelga di vivere il suo lato omosessuale. Di certo molta di più di quella che potrebbe trovare in altre organizzazioni religiose. Quell’attenzione per la persona, e non per l’identità che si va a dare, continua ad essere virtù praticata in modo diffuso nella Chiesa. Quanto ho scritto però vale in realtà in Italia. Completamente diversa è stata la mia esperienza di Chiesa in Gran Bretagna o in altri luoghi, dove l’ipocrisia è stata sostituita con un realismo di fondo decisamente più apprezzabile. Trovo che molti alti esponenti ecclesiastici invece di innalzare vessilli e mura che dividono dovrebbero ritrovare il ruolo più profondo del proprio ministero, che non è fatto per giudicare e condannare, ma per riportare le persone a Cristo. Certo, senza però mai vivere complicità nel peccato o nell’errore.
Detto questo, ci sono mille “però”. Intanto l’imperizia nella comunicazione di molte strutture ecclesiastiche ha fatto passare nel sentire comune un’immagine di rapporto fra Chiesa e omosessualità distorto. Il catechismo della Chiesa cattolica è molto chiaro. Dopo aver illustrato quello che per la morale cattolica il prototipo di amore terreno – fra uomo e donna, nel dono di sé e nell’apertura alla nuova vita – spiega perché, rispetto a questo prototipo ideale, anche gli atti omosessuali sono un disordine ed un peccato:
“2357 L’omosessualità designa le relazioni tra uomini o donne che provano un’attrattiva sessuale, esclusiva o predominante, verso persone del medesimo sesso. Si manifesta in forme molto varie lungo i secoli e nelle differenti culture. La sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile. Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, la Tradizione ha sempre dichiarato che « gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati ». Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati”.
Intanto si parla di “atti di omosessualità”, e non di “condizione omosessuale”. Cioè, una persona che si scopra omosessuale non sta per questo commettendo un peccato. Se però vive carnalmente questa inclinazione, esce dal prototipo relazionale dell’amore umano, e per questo commette peccato.
Ma continua il catechismo:
“2358 Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione”.
C’è insomma prima di tutto umanità nella comprensione e nell’accoglienza. Ma, nel momento in cui per la morale cattolica la pratica omosessuale è un disordine, non può esserci, né si può pretendere che vi sia complicità nell’attuazione di questo disordine. Per cui, conclude il catechismo:
“2359 Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un’amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana”.
A parte il linguaggio, che non è dei più adatti ai tempi che corrono, ed a parte l’ipocrisia di fondo che denunciavo all’inizio, come sistema di pensiero non fa una grinza: se accetti la morale cattolica e scopri la tua omosessualità, commetti peccato se la vivi nella carne, configurando un disordine rispetto al prototipo di amore umano. Per cui il tuo personale prototipo è quello della castità. Se ci pensi non è poi così diverso che per un eterosessuale: ti devi far piacere una donna (o un uomo), e una (o uno) soltanto. Se vai con una donna che non sia tua moglie, o con un uomo che non sia tuo marito, commetti comunque peccato. Anche se quella persona sei tu stesso o tu stessa. La morale funziona così, e forse è proprio questo il motivo per cui, come ti dicevo, non mi ha mai appassionato. È un approccio di norme che si accavallano, ed implica un approfondimento di non poco conto sul peccato e sul suo senso, che ovviamente forse sarebbe il caso facessimo. E ovviamente, bisogna specificarlo, questa è la morale per i cattolici. Chi non è cattolico può altamente infischiarsene.
(tratto da “Le ragioni dell’altro“, ed. Piemme)
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