Parole bolognesi. Il dialetto bolognese è una lingua che sopravvive al complicarsi dei tempi.
“Non c’ho pilla, non posso farmi il bulbo da maraglio”.
Un non bolognese difficilmente capirà di cosa si parla. Ci sono parole bolognesi che non si possono tradurre. E che tutto il mondo ci invidia. Alcune sono parole del dialetto bolognese più tradizionale. Altre sono neologismi della Bologna degli ultimi decenni. Eccone qua dieci:
- Bazza. É un intrallazzo, una conoscenza facilitante. Significherebbe buona fortuna, occasione fortunata, cosa acquistata a buon mercato. Forse deriva da un termine importato dai lanzichenecchi, forse da un gioco di carte.
- Càrtola. Si usa sia con il verbo essere (è una gran cartola) sia con il verbo avere (ha una gran cartola). Persona simpatica, alla moda, positiva, vincente. Anche questo termine deriva da un gioco a carte? Oppure si intende che la persona in oggetto vive come in una cartolina? Chi lo sa mi scriva.
- Polleggio. Situazione di tranquillità, da cui anche il verbo “polleggiarsi”, stare tranquillo, e l’aggettivo “polleggiato”, spesso abbreviato in “pollegg”. Per alcuni il termine deriverebbe da una lista studentesca del Righi, che avrebbe coniato il nome. Che comunque ricorda la vocazione agricola della città e i suoi occhi puntati sui pollai.
- Balotta. Un insieme di amici. “Far balotta” significa divertirsi insieme, “gran balotta” vuol dire “tanta gente”. Chissà se c’entra con le castagne o con le palle con cui si votava nelle antiche assemblee.
- Umarell. Il bolognese non è lingua nostalgica ma viva. La parola “umarell” (meglio se al plurale “umarells”) indica un anziano in pensione che passa il tempo a guardare i cantieri, in particolare i lavori stradali, magari dando consigli indesiderati. La parola è stata coniata dallo scrittore Danilo Masotti, che è riuscito ad attribuire alla parola, che significava semplicemente “piccolo uomo, omarello”, un significato molto più articolato.
- Cinno. Ovviamente “bambino”. Termine oramai localizzato solo in territori emiliani, ha il significato letterale di “piccolo”.
- Pilla. Soldi, danaro, ricchezza. Chi ha la pilla è ricco. Ci piace pensare che derivi da “pigliare” e significhi essenzialmente “bottino”.
- Tiro. Chissà perché a Bologna è rimasta questa espressione per indicare l’apriporta. Fa riferimento a un antico meccanismo con cui nei secoli passati si aprivano le porte tirando una corda che sbloccava la serratura. Ma perché questa parola sia sopravvissuta, e solo a Bologna, resta un mistero.
- Ciappino. É una cosa da fare, un’incombenza, un piccolo lavoretto. Ma è anche un oggetto di poco valore, una cianfrusaglia. Da cui anche il verbo “ciappinaro”, che può significare sia chi vende cianfrusaglie, sia chi fa piccoli lavoretti. Dovrebbe derivare dal suo significato originario di “molletta”.
- Malippo. Situazione complicata, confusione. Si usa anche nell’espressione “É un gran malippo”. In dialetto si dice “malepp”. Dovrebbe derivare dal latino “mapalia” che significa (anche) confusione.
Quali altre parole bolognesi il mondo ci invidia?
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