“Immigrati. Sei pro o contro?”. Questa domanda mi sciabola nelle orecchie come una staffilata mentre steso su un lettino al mare cerco di leggere Foglie d’erba di Walt Whitman.
Mi guardo intorno e mi accorgo che sono circondato da una discussione politica di alcuni amici. Qualcuno grillino, qualcuno leghista, qualcuno del PD.
“Pro o contro cosa esattamente?” chiedo allora per capire di che stanno parlando.
“Gli immigrati”.
Sono pro o contro gli immigrati?
Inizio a pensare a Chopin a Parigi e agli attentatori di Charlie Hebdo, alla brasiliana con cui uscivo e al romeno che è entrato in casa del mio vicino.
“Dipende” dico allora. Ma non faccio in tempo ad articolare un’altra parola che come uno schiaffo mi arriva la risposta:
“Alla fine sti intellettuali sono tutti comunisti”.
Vorrei rispondere che non sono mai riuscito a darmi una definizione politica ma no, comunista proprio no. Forse vorrei anche aggiungere che se proprio vogliamo entrare nell’argomento bisogna mostrare umanità agli esseri umani bisognosi ma non credo che la soluzione sia lasciar venire in Europa decine di milioni di stranieri.
Vorrei dire che non invidio i politici che devono prendere decisioni difficilissime che qualunque cosad decidano sarà sbagliata. Vorrei insomma far presente che il mondo non è dipinto in bianco e nero e neppure in sfumature di grigio (come magari vorebbe la milfona dell’ombrellone vicino) ma in un turbinio di colori talvolta pure dissonanti tra loro.
Invece mi scappa di iniziare la frase con:
“Ci sono molti immigrati in Italia…”.
E qui da un altro impegnato nella discussione mi arriva veloce lo schiaffo:
“Razzista”.
Inizio a pensare a Hitler, Goebbels, alle leggi razziali e sento dentro un profondo “no” che mi sale dalle viscere. E dal DNA. Ma non rispondo.
Perché di botto mi ricordo perché non scrivo mai di politica. E torno con gli occhi sulle poesie di Walt Whitman. I cui antenati erano immigrati in America. Come gli schiavi a cui lui non voleva dare diritto di voto.
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